MANAGEMENT Il Sole 24 Ore
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L’anima infusa orienta le scelte: essere oggi manager poeti di Costanza Biasibetti *
2 maggio 2023
La poesia viene relegata a biblioteche e scuole, ma ha molto da dire anche a chi fa impresa, a chi gestisce persone, progetti, processi. Siamo chiamati a fare, ad agire, ad essere manager poeti. Ho conosciuto Lucilla Giagnoni a teatro. Conoscerla a teatro è stato essenziale, perché lei è nata in teatro. È quel posto in cui si manifesta tutta la sua bellezza, tutta la sua luce.
Pensate se potessimo scegliere di incontrare le persone sempre nel nostro “luogo di nascita”. Pensate se, insieme alle esperienze professionali precedenti e alla RAL, potessimo indicare sul CV il nostro luogo perfetto in cui sostenere un colloquio di lavoro: quanto riusciremmo a mostrare di noi dalla cima di un montagna o da quel campo da calcio in cui ci sentiamo per davvero e completamente noi stessi?
Lucilla Giagnoni - attrice, autrice e poetessa - mi ha offerto uno sguardo nuovo su un tema ostico, che oggi voglio riproporvi non per tanto per annoiarvi, ma per condividere anche con voi lo stesso sguardo. È facile parlare delle cose che hanno confini netti e definiti, è facile commentare classifiche e dati. Ma di ciò che non ha numero, non ha peso, non ha limitazioni, parlare è difficile. Correva l’anno 1901 e a un medico statunitense, Duncan MacDougall, venne in mente di misurare il peso dell’anima, dimostrandone intrinsecamente l’esistenza. Secondo MacDougall, al momento del trapasso il corpo umano avrebbe perso un certo peso (21 grammi, il peso della sua anima, appunto) libera di migrare verso luoghi che non fossero le spoglie mortali.
L’esperimento di MacDougall è un piccolo vizio che abbiamo anche noi, che lavoriamo nel management dei processi e soprattutto nel management delle persone. Tentiamo deliberatamente di applicare metri di giudizio definiti e tabelle di classificazione per tentare di categorizzare ciò che non può stare chiaramente in una cella di Excel.
Non preoccupatevi, è un riflesso istintivo ed è soprattutto un’operazione di semplificazione che, a volte, è necessario e doveroso operare per riuscire a portare a termine il nostro lavoro con efficacia. Ma se proverete ad ascoltare, a guardare lentamente, capirete che spesso le cose parlano. Si annunciano, testimoniano la loro presenza. Guardate siamo qui! E ci guardano, indipendentemente da come le guardiamo noi.
Questa richiesta d’attenzione - diceva James Hillman - è il segno di un mondo infuso d’anima. Un mondo non categorizzabile nel quale anche noi siamo infusi, come individui e come professionisti.
L’infusione d’anima è una cosa tangibile: la vediamo ogni giorno, nelle nostre grandi e piccole battaglie. Ogni evento mette in moto una catena di reazioni e risonanze, che coinvolgono tutto il mondo. Esercitiamo costantemente la responsabilità di scelte che hanno delle ricadute pratiche sull’ecosistema che abitiamo. Teoricamente, sapevamo da tempo che se una farfalla avesse battuto le ali a Pechino, vi erano diverse possibilità che potesse scatenarsi un uragano in California. Si sapeva, si diceva, ma nessuno l’aveva ancora veramente sperimentato. Ora lo sappiamo, perché l’abbiamo vissuto.
Gli effetti della pandemia, quelli dei conflitti caldi e freddi che interessano zone conosciute oppure angoli dimenticati del mondo, gli andamenti dei mercati internazionali, il brulicare di commenti politici discutibili: tutto si ripercuote in modo disomogeneo sull’andamento della nostra quotidianità. È tangibile così, anche su di noi, la richiesta di responsabilità che ci viene chiesto di assumerci come leader (di famiglia o di un’impresa o di un team): ogni nostra piccola decisione avrà delle ricadute sugli altri e sul domani.
Lucilla Giagnoni ha portato a teatro un monologo dal titolo “Anima Mundi”. Prende per mano gli spettatori e porta tutti con sé in un viaggio alla scoperta di un sentimento, di una sensazione, che ci abita in quanto umani e in quanto creature. Che ci abita in quanto portatori sani di anima, quella cosa di cui non conosciamo consistenza e peso, ma di cui siamo - tutti, dal primo all’ultimo - infusi. La missione catartica che Lucilla avvia in teatro (e che poi lascia come una specie di regalo a chi abbandona la platea per rituffarsi nell’ordinario) è la ricerca di un equilibrio.
“Abbiamo bisogno di allinearci col meccanismo che nutre la Vita: donne, uomini, animali, piante, batteri, virus e minerali, aria, acqua, terra e fuoco uniti dalla cura reciproca. Servono grandi azioni politiche, ma soprattutto piccoli atti quotidiani: a partire dal notare le cose, da uno sguardo capace di vedere in ogni cosa la sua anima, uguale alla nostra, che sappia essere strumento per agire”. Ci viene chiesto (e a nostra volta chiediamo) di agire, di scegliere, di produrre, di categorizzare.
E questa volta dobbiamo farlo, perché anche la non decisione è una decisione e non ci possiamo certo permettere di lasciare al caso il governo delle nostre vite e delle nostre imprese. Ma dobbiamo farlo sfruttando tutte le competenze e i substrati che ci abitano, le passate esperienze, l’anima infusa (quella vibrazione del mondo che un po’ dovrebbe darci istinto, dovrebbe darci ispirazione).
Continua Giagnoni: “Sogno da sempre una scuola che per prima cosa educhi alla poesia: poesia dal greco Poieo che significa fare, produrre, generare. Educare alla capacità di incanto, di trasformazione e generazione. Insegnare ad accorgersi”.
Dobbiamo esercitare la capacità quotidiana di allargare lo sguardo, partecipando consapevolmente a fare anima nel mondo: questo esercizio, svolto a lungo e con costanza, ci permetterà nel nostro piccolo di diventare manager poeti. Nell’antichità, i poeti erano coloro che riuscivano ad unire insieme in una veste comprensibile Verità e Memoria, condizioni essenziali per non perdersi nell’oceano di fake news, per avere la capacità di operare scelte sagge e coerenti.
Oggi abbiamo relegato i poeti ai saloni del libro e alle scuole, ma voglio provare a ricavare per loro uno spazio anche nella nostra scrivania, nelle nostre imprese, nelle nostre sale riunioni.
Ci viene chiesto di essere manager poeti per (almeno) tre motivi:
1. Siamo umani, gestiamo umani o processi a loro volta gestiti da umani. L’elemento umano, animale, è un elemento che non dobbiamo solo gestire, ma comprendere. E per comprenderlo, bisogna ascoltarlo (perché già ci abita, anche noi ne siamo infusi).
2. Siamo chiamati a scegliere. A operare. Ad agire. Non possiamo essere manager immobili. E le nostre azioni ricadono su altri, costantemente, anche dall’altro capo del mondo, anche tra vent’anni. Viviamo un mondo in costante evoluzione, anche noi dobbiamo costantemente evolvere.
3. Siamo in grado di vedere oltre. Anche se ci sembra di non avere visione progettuale, in realtà ce l’abbiamo. Riusciamo a cogliere i segni di un disagio nei movimenti del nostro dipendente, riusciamo a prevedere un passaggio problematico all’interno di un processo che stiamo seguendo. Dobbiamo solo guardare bene, dobbiamo ascoltare, per accorgerci delle scintille.
Ho deciso, molti anni fa, di appuntarmi sulla pelle le parole più significative che avrebbero cambiato (e hanno cambiato) in qualche modo il corso della mia carriera e della mia vita. Su una gamba, è comparsa da qualche tempo la parola “Poesia”. È comparsa non per passione, ma per voglia di agire. È tempo di generare scelte di senso, è ora di far vibrare forte l’anima del mondo, è ora di essere manager in grado di governare la barca nelle tempeste e soprattutto nelle acque basse e secche (l’acqua è ormai scarsa).
* Consulente di Newton Spa
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